17 dicembre 2009

RECENSIONE > John De Leo e i nuovi paradigmi del Jazz

Recensione > 11.12.2009 Concerto c/o l'Onyx Club di Matera



Finalmente. Un concerto con dissonanze, un po’ sopra le righe, ricco di contraddizioni, pieno di tensioni, a tratti scivoloso e sbiadito, con accenti stonati e misteriosi. Ma nuovo, capace di declinare in modo diverso i paradigmi del jazz. Quasi un concerto jazz nel suo non essere tipicamente jazz.

L’altra sera ha provocato originali emozioni il gruppo guidato dal cantante John De Leo rinfrescando con la sua musica le pareti dell’auditorium, troppo spesso abituato ad accogliere modelli musicali che da troppo tempo si ripetono uguali. Una scelta non facile quella dell’Onyx Jazz Club che l’ha inserito nel cartellone di Gezziamoci, ma fortunata e rivelatrice di un nuovo modo di guardare il mondo delle sette note.

Sul palco assente il pianista Christian Ravaglioli che, nelle parole di De Leo, “all’ultimo istante ha deciso di fare miglior fortuna andando a lavorare negli Stati Uniti”. Assente giustificato, per malattia, invece, il video-performer Massimo Ottoni che da diversi anni segue il cantante nei suoi progetti. Sul palco ben presenti con la loro straordinaria forza espressiva, invece, il chitarrista Fabrizio Tarron, Dario Giovannini, alla chitarra e alla fisarmonica, e Achille Succi al clarinetto basso, quest’ultimo ben conosciuto al pubblico materano per essersi esibito accanto a molte altre formazioni.

Il quartetto ha proposto i brani dell’ultimo disco “Vago svanendo” ovviamente interpretati in modo inedito non solo per l’assenza dei due musicisti, ma anche e soprattutto per l’elaborazione improvvisativa dei musicisti. Una musica che sfugge alla prigione di un’etichetta per esplorare mondi sonori diversi che appartengono alla vita, all’esperienza di tutti. In prima linea la voce di John De Leo, un vero e proprio strumento polisemantico. Lui, in qualche modo, rappresenta la terza via alla sperimentazione iconoclasta di Demetrio Stratos e al paradigma jazzistico di Bobby McFerrin. Nel corso della serata materana ha proposto una propria identità espressiva non mancando mai ora di esplorare le capacità timbriche della sua voce come nel brano”Vago svanendo”, ora di misurarsi con il vocabolario jazzistico interpretando da solo, e solo con l’aiuto dei duplicatori elettronici, un’intera sinfonia di jazz. Un progetto musicale e sonoro, quello ascoltato l’altra sera che si incrocia con le più interessanti tendenze degli ultimi anni, dai Naked City di John Zorn alle più intime letture di Bill Frisell. D’altronde, anche John lo spiega nel testo della sua canzone “Vago svanendo”: “Lontani dal mare qui non è musica solare siamo sull’altro versante”. Con la sua voce-strumento, ora calda, grave, ora acuta, graffiante, John De Leo ha dispiegato un mondo e un approccio alla vita che pur non essendo jazz a questo si avvicina, molto, molto più di tanti altri.
Scontati i lunghi applausi finali.
mj

fonte: MisterJazz