13 giugno 2016

IL MIO OCCHIO É L'ORECCHIO

L’intervista di Cecilia D’Abrosca per artshumanitiessemiotics 


[Foto di Elisa Caldana]


[…] Restiamo nell'ambito della vocalità, dello strumento voce. Attraverso il suono si può tentare, a esempio, di sottolineare i significati delle parole di un testo letterario. In che modo?
Nella pratica, se sottoponessimo lo stesso testo a più interpreti (registi di sé), per ognuno di questi “dare peso” a quelle stesse parole avrà implicazioni individuali e quindi tecniche di esecuzione e sviluppi diversi; per alcuni ciò potrà essere sensato rimanendo nel registro di un’ottava, per altri sarà opportuno usare tutti i registri possibili, per qualcun altro sarà necessario impiegare una dinamica forte, per altri ancora un bisbiglio, ci sarà chi annullerà le cadenze congenite delle parole, chi sentirà di doverle sillabare ritmicamente in modo arbitrario, chi indugerà in modo distintivo sulle pause, e così via.

Tutto questo per dire che, al di là delle convenzioni stilistiche (e di algide analisi tecniche), l’esperimento si rivela pressoché incodificabile soprattutto perché il filtro è il proprio soggettivo suono, quel tono interpretativo esclusivo che ha vedere con “il suono del proprio senso”, con il proprio corpo e il suo vissuto.